Sunday 11 December 2016

Panettoni indigesti

Katia stasera mi ha fatto una gran bella domanda, e le domande di Katia sono sempre molto acute e fonte di ottima introspezione: che cosa, precisamente, mi dà tanto ai nervi del Natale?
Bella domanda.
C’è stato il penoso incidente del 1999 che mi ha fatto andare di traverso l’atto in sé di decorare l’albero, ma poi? C’è qualcosa di più profondo? A parte la ghirlanda di luci appesa sulla porta di un negozio qua vicino, con la musichetta accesa 24/7 che, alle tre di notte con l’eco della strada vuota e silenziosa, diventa davvero creepy, stile camioncino dei gelati in un film horror.

Non c’è qualcosina… non so… di eccessivo?

Ci sono aspetti prettamente pratici che mi danno ai nervi, ad esempio Piazza Unità d’Italia. Quando mi sono trasferito a Trieste nel 2008, veniva decorata con due file di alberi di Natale, per non parlare degli altri, alcuni altissimi, sparpagliati per la città. Poi è arrivata la crisi e, negli anni scorsi, il tutto è stato ridimensionato a un solo albero in un angolo della piazza, un presepe e un proiettore di giochi di luce sparato sulla facciata del municipio. Di cui la gente si è lamentata, perché che fine ha fatto l’opulenza festiva di Piazza Unità? È davvero Natale, senza le file di abeti di Piazza Unità?
Ma quest’anno è arrivato Lui, Roberto Di Piazza; è tornata Forza Italia e ha salvato il Natale: riecco le due file di dannati alberi, ma non solo – di più! – ce ne sono decine sparpagliati per mezza città, perfino in Piazza tra i Rivi a Rioiano, perché Lui rimetterà le cose nel verso giusto. Sei mesi di mandato e ha reso Trieste di nuovo opulenta, perché è quello che significano ventiquattro dannati abeti – ventiquattro! – in due file su una piazza. Più i sei in Piazza Borsa, i due in Piazza Verdi, quelli di cui ho perso il conto andando in Cavana…
È una dimostrazione di potere e ricchezza fatta nella sicurezza che, mal che vada, si tratta di una stupidaggine. Roba a cui laggente tiene, ma pur sempre una stupidaggine inconsequenziale. Tutto fumo negli occhi.


C’è poi il fatto che la stagione natalizia ormai inizia i primi di ottobre. In inglese c’è un nome specifico per questo fenomeno: Christmas creep. D’altro canto, se hai della merce così marcatamente stagionale, ovvio che cercherai di venderla con una campagna pubblicitaria martellante e, a ogni buon conto, allungare il più possibile il lasso di tempo in cui è appropriato esporla. Purtroppo il lato consumistico – odio questa parola, fa tanto fricchettone no global incallito – del Natale ha dei limiti intrinsechi per superare i quali deve essere invadente fino al parossismo. È un lato imprescindibile e, se ti dà più fastidio di quanto i buoni sentimenti riescano a controbilanciare, c’è poco da fare, odierai sempre il Natale.

Probabilmente, il mio problema col Natale è proprio questo: me ne sento soverchiato. È tutto troppo, per me: troppe lucine, troppa gente, troppa frenesia, troppi buoni sentimenti, troppi parenti, troppi messaggi, troppe telefonate, troppi soldi in ballo, troppa pubblicità, troppe festicciole, troppo, troppo, troppo. Mi sento sempre come se arrancassi indietro e non riuscissi a stare al passo col resto dell’umanità. Mi sento sbagliato perché è socialmente bizzarro che non mi vada di prender parte ai festeggiamenti: se non li sento miei, dovrei almeno farlo perché è la tradizione; se non m’interessa la tradizione, dovrei farlo perché mi diverto, perché tutti si divertono alle feste. Questo rende il Natale l’ennesimo obbligo – uno del tutto infondato, per di più. Mi sento escluso da una cosa stupida in cui gli altri riescono a trovare un po’ di conforto e allegria cheap per qualche giorno, fingendo che tutto sia più magico e speciale. Mi sento sbagliato perché la mia resting bitch face è ancora più fuori luogo in mezzo al clima festivo, così come il mio humour tagliente e la mia voglia di essere amichevole solo con un numero ristretto di persone ignorando tutte le altre.
Così, puntualmente, al primo segno di panettoni e lucine sugli scaffali, inizio già a imbastire grandiose cazzate sui miei mirabolanti piani per Natale. E per Capodanno, ché dovrei essere davvero un freak per non voler far piani a Capodanno. Non mi va di dover accettare inviti, fingere di essere una persona normale che adora il Natale, o fare la parte di quello che rovina le feste agli altri.
Che ansia. Non vedo l’ora che il sei gennaio arrivi come una doccia fredda in tutto questo delirio, e il mondo torni ad essere meno luccicoso e più grumpy per farmi sentire meno fuori posto.

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