Friday 24 March 2017

Ammaestrare la Bestia

Sarà che ultimamente sono un filino ipersensibile su qualsiasi cosa rientri nella sfera de La Bella e la Bestia perché il 90% del mio spazio-pensiero è occupato da quello, ma sono appena inciampato su un video che è partito bene, è scivolato malamente sul finale e mi ha fatto incazzare parecchio per questo:


Ora, di base l’idea che c’è dietro sembra buona; sono l’esecuzione e il messaggio finale ad avere delle implicazioni poco fortunate. Inizialmente, il tema sembra essere come la retorica de “i maschietti non piangono” danneggi gli uomini e, scoraggiando la loro empatia, porti come conseguenza la violenza sulle donne. Sul finale, invece, il problema viene completamente accantonato e l’attenzione si sposta unicamente sulla violenza verso le donne, senza stabilire una diretta relazione fra i due fenomeni. Non c’è nulla nel linguaggio cinematografico del video che stabilisce un collegamento fra “i maschietti non piangono” e la violenza e mancanza di empatia verso la ragazza: non vediamo, ad esempio, lo stesso tizio che dice “Romeo, i maschietti non piangono” attaccare la sua ragazza per dimostrare che è quella mentalità la causa della violenza. Probabilmente è reso implicito dalla trasformazione del ragazzo sensibile in Bestia, ma poi arriva il messaggio finale della signora che smonta del tutto quest’idea: non c’è qualcosa che non va ne “i maschietti non piangono”, è che a quel messaggio manca “e non fanno piangere le ragazze”. Il benessere affettivo e la completezza umana dell’uomo è totalmente irrilevante, a patto che lo si prenda e lo si ammaestri come un cagnolino perché, povero scemo primitivo, non capisce.
Insomma, non c’è bisogno di preoccuparsi di ritrasformare la Bestia in Principe, basta mettergli il guinzaglio.

E qui torniamo a La Bella e la Bestia, che considero un film dal messaggio fortemente antisessista. All’inizio, la Bestia non è poi tanto dissimile da Gaston: è l’estremizzazione del principio maschile di forza bruta, virilità incontrollata e completa disconnessione emotiva. Ciò che rende la Bestia tale è proprio quello: non è empatico, non rispetta le emozioni degli altri perché non riconosce il valore delle proprie; non si rende conto che è l’assenza di qualsiasi emozione non sia rabbia virile a renderlo un mostro. Ed è ricongingendosi a quel lato, imparando l’empatia, il valore delle proprie emozioni e il rispetto di quelle degli altri, che spezza l’incantesimo.
Parlando per archetipi, smette di essere una Bestia e diventa un vero essere umano quando completa il suo lato “maschile” (forza, rabbia, istinto) con le caratteristiche considerate “femminili” (empatia, raffinatezza, cultura, espressività). Gaston, d’altra parte, fa completamente sua la logica de “i maschietti non piangono” e, fino alla fine, ignora il valore delle emozioni e non rispetta quelli altrui, al punto che ciò gli si ritorce contro e lo conduce alla morte.
È questo il messaggio che trovo importante: è liberando se stessi del sessismo, dello stereotipo di ciò che è adatto o meno ai maschietti e alle femminucce, in termini emotivi, che si diventa esseri umani migliori e si impara a rispettare se stessi e gli altri; se non si cerca di crescere in questo senso, siamo noi stessi i primi a rimetterci.

E è proprio questo che manca al video di cui sopra: non viene enfatizzato che preservare l’equilibrio psico-emotivo di una persona è fondamentale per spingerla a trattare gli altri con riguardo. Il problema è solo la violenza (fisica) sulle donne, non quella (psicologica) con cui le aspettative sociali sui ruoli di genere trasformano i Principi in Bestie. È proprio quello che mi fa incazzare: l’atteggiamento di menefreghismo verso il problema maschile, come se il ragazzo lì fosse un semplice accessorio nella narrativa dell’emancipazione femminile e non avesse un proprio vissuto, che include una certa pressione sociale affinché si conformi a un certo comportamento.
Ma la realtà è che non si può insegnare ai maschietti a non far soffrire le femminucce se prima non si insegna loro che la sofferenza non è una colpa, che piangere, essere tristi, non è sbagliato, che non si deve essere puniti per quello, ma ci si deve sostenere a vicenda. Se non si smette prima di colpevolizzarli quando piangono, come possono capire che quel pianto è importante, che la tristezza e il dolore sono reali, che non li si dovrebbe infliggere deliberatamente agli altri – maschi o femmine che siano?
Purtroppo, a un grosso ramo del femminismo questa sottigliezza sfugge: non vede al di là del suo naso e non capisce che ogni problema delle donne è lo specchio, l’altra faccia, la diretta conseguenza di un problema degli uomini, e che la società sessista colpisce tutti indistintamente. Che poi, è un atteggiamento controproducente: ignorare che anche gli uomini hanno problemi impedisce un’analisi obiettiva dei fatti che aiuterebbe a formulare una soluzione più facilmente raggiungibile.
Fortunatamente, c’è anche un ramo del femminismo (che in realtà è semplice antisessismo, ma non lo sa) che capisce che l’obiettivo è il benessere di tutti e gli interventi vanno fatti in tandem per risolvere sia i problemi che affliggono le donne, sia quelli che affliggono gli uomini. Per restare in tema, mi viene in mente proprio una certa Belle che la pensa così e diffonde questo messaggio.
E poi chissà, magari passeremo dal voler solo ammaestrare la Bestia senza preoccuparci per lui, non solo al trasformarlo di nuovo in Principe, ma al non trasformarlo proprio in Bestia dall’inizio.

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