Monday 9 April 2018

Giornate in parabola discendente

Mi chiedo come sia possibile passare in poche ore dal sentirmi super a mio agio con me stesso a sentirmi completamente fuori posto nel mondo.
 

Stamattina ho iniziato la giornata sentendomi super gnocco in un pigiama smanicato, e al diavolo se ho due stecchetti per braccia. Sarà per lo styling che il cuscino aveva dato ai miei capelli, sarà per la barba ancora fatta di fresco, sarà che oggettivamente sono magro ma ben proporzionato, ma ho guardato nello specchio e visto qualcosa che mi è piaciuto parecchio.
Ho finito il pranzo e il buonumore era ancora lì, non scalfito nemmeno dallo scuro della finestra che ieri mattina mi è caduto in mano; ho telefonato alla signora Maria, mi ha detto che sarebbe andata all’Ikea a ricomprarlo e pace, dovrò solo sopportare di dormire per qualche giorno nella stanza illuminata finché non lo porta per sostituirlo. È stato un problema di facile risoluzione che ho affrontato tempestivamente. Il tutto con addosso una maglia smanicata, la cosa in cui mai avrei pensato di farmi un selfie.

Altro problema che ho affrontato tempestivamente è stato spedire il cappotto che il mio amico si è dimenticato qui dopo il week end – l’unica magagna in due giorni altrimenti andati straordinariamente bene. Ed è qui che sono scivolato malamente. In primo luogo perché sono uscito con più di mezz’ora di ritardo sulla tabella di marcia causa telefonata della Mater, che proprio non capisce quando dico: “Devo andare ora”. Poi perché, dopo aver comprato la scatola e aver armeggiato un po’ per prepararla, mi sono accorto a) che avrei potuto compilare il bollettino di spedizione prima di arrivare allo sportello e b) di non sapere il cognome del mio amico. Fortuna che l’impiegata mi ha dato il bollettino e mi ha spedito a compilarlo al tavolino di servizio mentre si occupava del cliente successivo, se no sarei imploso lì dalla vergogna.
Ed è davvero una cosa stupida, perché anche se il mio amico ha tardato a rispondermi, male che andava avrei potuto semplicemente ripassare. Solo che a) che palle portarmi il pacco avanti e indietro, b) piovigginava, c) non avevo voglia di tornare subito a casa ma volevo andare a prendere un gelato, e d) chissà cosa avrebbe pensato l’impiegata.
Ancora più stupido è che, dopo essermi ingegnato per risolvere la faccenda triangolando il cognome dal nick di Instagram, una ricerca su Facebook e una menzione fatta en passant due giorni prima su un antenato famoso, e aver spedito il pacco senza problemi, ho continuato a trascinarmi dietro il senso di disagio. Perché aver fatto vari tentativi a vuoto mi ha frustrato – anche se ho terminato giusto in tempo perché lo sportello si liberasse di nuovo – e perché avrei dovuto pensarci prima.
Ed è quel senso di disagio, di essere fuori posto, che si trasmette a tutto: al beccare tutti i semafori rossi come se fossi fuori sincrono con la città, al trovarmi la gente continuamente in mezzo ai piedi come se fossi l’unico a camminare al mio ritmo, al non aver capito che Giulia era al lavoro e non aveva il pomeriggio libero ed essere stato scortese via messaggio, tutte queste piccole cose pronte a grandinare su una mente iperreattiva.

Ma la cosa davvero irritante è come io riesca a ignorare continuamente i molti successi che ottengo e lasciarmi smontare da quell’unica defaillance su cui inciampo, perfino una giornata che è partita in maniera insolitamente buona. Invertire questo processo è davvero il life hack numero uno che dovrei imparare.

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